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L’ideologia nazista fonda le sue origini nel malcontento diffuso in Germania dopo l’armistizio del 1918, che aveva concluso la prima guerra mondiale e sancito la sconfitta tedesca, e dopo il trattato di Versailles, che aveva condotto il Paese sul lastrico. Nacque così, soprattutto tra i soldati che ormai avevano perso tutto, il desiderio di trovare nuove guide e nuovi ideali rispetto a quelli di coloro che erano al potere in quegli anni, i socialdemocratici. Si vennero così a creare numerosi partiti di estrema destra; tra questi, il partito degli operai tedeschi, che prese poi il nome di partito nazionalsocialista, al quale, con la tessera 555, s’iscrisse anche Adolf Hitler. Quest’ultimo di lì a poco avrebbe scalato la gerarchia interna al partito e ne sarebbe diventato il capo assoluto e indiscusso, come suggeriscono queste parole del ministro della giustizia Hans Frank: “Hitler è unico, e anche Dio lo è, Hitler è come Dio”.
L’idea cardine del nazismo, dalla quale derivarono tutte le altre, consiste in una trasposizione sul piano sociale delle teorie darwiniane; Hitler diceva a proposito di ciò: “Il più forte trionfa, perciò non deve esistere compassione verso gli altri, né rispetto per le leggi”[1]. Si venne così a creare l’idea di una razza superiore, la cosiddetta “razza ariana”, l’unica degna di vivere e governare anche per mezzo della violenza. Il concetto di razza ariana venne sviluppato a partire da studi pseudoscientifici sull’anatomia e sulla biologia umana, che più volte permisero ai nazisti di giustificare le loro azioni definendole di derivazione scientifica. Tutti coloro che non rientravano nei “canoni” prestabiliti e non erano perciò di razza ariana non meritavano nulla: “è una vera pazzia quella di istruire una mezza scimmia perché si pensi di aver preparato un avvocato, mentre milioni di membri della eccelsa razza civile devono rimanere in posti pubblici e miseri”[2].
L’odio verso il diverso manifestato sin dal principio dal partito di Hitler colpì in maniera assai più violenta gli ebrei. L’antisemitismo venne favorito in Germania soprattutto dal piccolo numero di ebrei presenti nel territorio: fu così molto più facile diffonderne un’immagine falsata. Il pregiudizio antigiudaico è sempre stato più o meno presente nella cultura cattolica, ma le basi sulle quali si fondò l’antisemitismo nazista erano diverse. La “lotta” del partito nazista non era di tipo religioso; si trattava piuttosto dell’unione di motivi politico-economici e pseudoscientifici, che evidenziavano una netta “differenza” e “incompatibilità” tra la razza ariana e quella ebraica; quest’ultima, in ordine d’importanza, era all’ultimo posto. L’antisemitismo nazista può essere sintetizzato con queste parole di Aron Tamir: “L’ebreo è colpevole di qualsiasi cosa, sempre”[3]. Proprio il concetto di “colpa” è basilare nel programma di propaganda di Hitler, poiché gli ebrei erano accusati di essere i responsabili della sconfitta durante la Prima Guerra Mondiale e di essere inoltre sostenitori del comunismo bolscevico. Inoltre ogni ebreo era parte integrante di una massa omogenea, nella quale tutti avevano le stesse colpe. Se un qualsiasi ebreo commetteva un delitto, automaticamente tutti gli ebrei l’avevano a loro volta commesso.
Il programma politico del Führer non prevedeva inizialmente la distruzione fisica e di massa degli ebrei, che dovevano “soltanto” essere esclusi da ogni contatto con il resto della società. Fu più tardi che vennero ordinati gli stermini e si giunse alla deportazione in campi costruiti apposta per facilitare le uccisioni.
Pinerolo, maggio 2006 Anna Gazzera
1 Adolf HITLER, Mein Kampf, Varese, La Lucciola Editrice, 1991, p.67.
2 A. HITLER, Mein Kampf, cit., p.55.
3 Cit. in Laurence REES, Nazisti. Un popolo, un Führer, un Reich, Roma, Netwon & Compton, 1998, p. 133. Sull'evoluzione dell'antisemitismo in Germania cfr. l'approfondimento sulla notte dei cristalli.